Giovanni Morelli, Elia e l'agiatezza, china, 1967/68 ca.

Ecco, la solita bella casa con tutti i comodi,
le cui colonne mi moltiplicano
dieci volte in altezza.
Se non sapessi della sua esistenza,
se non la immaginassi nemmeno,
forse questo piccolo fiore
potrebbe farmi felice.
però, chissà quanto paga di tasse.


Pensieri per Giovanni

Giacomo Albert | 14 febbraio 2021


«quella inquieta fuga mortale in avanti verso una accelerazione entropica delle “fini-[estinzioni]” e delle “durate minime”, sembrerebbe poter riguardare, nell’era elettronica più evoluta, non tanto le tendenze musicali, quanto piuttosto le tecnologie già asservite e divenute poi dominanti, ovvero le tecnologie che generano stili musicali: quando infatti saranno arrivate, queste o quelle, parimenti, al colmo della propria fortuna evolutiva ovvero al punto di impartire alla musica una specificità stilistica che si risolve essenzialmente e del tutto in loro, moriranno – motto: quando la tecnologia si sarà travasata in uno stile, e lo stile sarà divenuto una, quella tecnologia, quello sarà il momento della loro estinzione, sua e dello stile, sarà la sua campana a morto». […]

(Giovanni Morelli, 4 slides e 1 buio-in-sala: per un nuovo quadro della business continuity negli studi delle arti acustiche , «Venezia Arti», 22/23 (2008-2009), pp. 10-16


4 slides e 1 buio-in-sala: per un nuovo quadro della business continuity negli studi delle arti acustiche è un articolo/saggio/lezione che Giovanni Morelli ha dedicato alla musica nell’epoca post-digitale. È un articolo ricco, denso, fitto di riferimenti incrociati: un articolo centrifugo, che mette in relazione mondi lontani, dischiudendo connessioni inaspettate ed evitando di ridurre la complessità a semplici formule, in favore di una visione profonda, per quanto discontinua; un articolo che scava la molteplicità degli aspetti che legano sviluppo tecnologico e processi culturali.
Punto di avvio è la constatazione che al continuo e repentino susseguirsi di stil-ismi che connotano il Novecento si sia accompagnata la continuità dell’elettronica, intesa come «forma mentale necessaria indifferente alla differenziazione delle tendenze». È quindi la forma cognitiva sottostante i processi produttivi legati alla musica elettronica a creare continuità tra le forme, gli stili e i repertori. Il montaggio, la sincronizzazione “esogena”, la forma intesa come graduale stratificazione, l’attenzione alla morfologia del suono, la possibilità di lavorare con le caratteristiche dei suoni specifici più che con i parametri che ne astraggono proprietà universali, la “schizofonia” che aliena causa ed effetto, gesto, materia e vibrazione, sono epifenomeni di un paradigma tecnologico.
Al centro dell’articolo è riportata la tesi di Nicholas Negroponte secondo cui la nostra civiltà si sia incamminata in un’epoca post-digitale, un’epoca in cui il digitale è dato per scontato, parte integrante del mondo e della realtà che abitiamo, e quindi, pur se ormai “noioso” e “banale”, la abita e la plasma attivamente in tutte le sue dimensioni, verso forme de-territorializzate, asincrone e polarizzate.
Non volendo, non potendo e non essendo in grado di argomentare la ricchezza della visione che Morelli espone nell’articolo, mi limito a proporre due ascolti che hanno subito le spinte del post-digitale e che possono accompagnare la lettura dell’articolo di Morelli. Due ascolti in luogo di uno, perché un loro confronto può mettere in luce le polarizzazioni, le continuità e le discontinuità dell’era post-digitale.
Nella prima audiovisione (Morelli parla di «prepotente audiovisualità» del post-digitale), il compositore/performer Nicolas Collins suona il “trombone-propelled-electronics”, un iper-strumento da lui stesso costruito: un trombone “aumentato” con la scheda madre di un Commodore 64 programmata in maniera tale da rielaborare il suono acustico con riverberi e altri effetti, in grado anche di registrare suoni e diffondere suoni registrati e campioni preesistenti. L’iperstrumento conserva le dimensioni fisica e performativa dell’oggetto originario, ma queste vengono trasfigurate grazie alla presenza del digitale, tecnologia a noi visibile, messa in evidenza, parte della dimensione multimodale e audiovisiva dell’opera. Ne scaturisce una performance umana e fragile, piena di rotture, in cui il controllo umano e la macchina interagiscono e dialogano in uno scambio reciproco, pieno di salti. La tecnologia viene ri-umanizzata in un processo inverso alla desumanazione dell’arte inizio-novecentesca, teorizzata da Ortega y Gasset.
Nel secondo ascolto, “Relentless Doppelgänger”, al contrario, la macchina sostituisce l’uomo: un bot, una versione modificata della rete neurale “SampleRNN”, è stato addestrato sulla base di centinaia di ore di registrazioni di death metal e dal 4 settembre 2019 genera a getto continuo nuovi brani nel medesimo stile. In questo modo il growl e lo scream del death metal, urla distorte espressioni primigenie di emozioni primordiali quali rabbia, nostalgia, etc, sono qui create in maniera artificiale da una macchina che non segue alcuna logica “umana”, alcuna forma rappresentazionale tradizionale della musica, ma che si è creata le sue strade per capire la musica adattandosi alle forme d’onda.
Se il brano di Collins è una forma audiovisiva e performativa, in “Relentless Doppelgänger” i performer scompaiono e rimane la pura forma d’onda. Se il primo era fruibile nella sua interezza solo nel hic et nunc, il secondo è ubiquo e si espande per l’eternità. Se la dimensione fisica è inalienabile nell’iper-strumento ed è determinante nel definire il suono prodotto, il suono del secondo esempio è invece generato meramente dalla sequenza astratta di un algoritmo, il cui comportamento, peraltro, è impossibile da prevedere (e quindi comprendere) anche a coloro che lo hanno programmato.
Insomma, musiche che si muovono sull’equilibrio del fallimento, tecnologie che muoiono «risolvendosi» in stile musicale, così diverse tra loro, parti di una realtà polarizzata, dicotomica, differente, ma basata sul superamento del digitale in sé, che nel suo principio sarebbe unimedia (Lévy), strumento unitario e unificante per eccellenza. .


Ascolti proposti:

>>> «Tobabo Fonio», (1986 – qui in una performance live del 1989) è il primo brano in cui Nicolas Collins ha adoperato il “trombone-propelled-electronics” da lui appena inventato e costruito, che ha poi sviluppato ulteriormente negli anni successivi e che lo ha reso famoso: trombone-propelled-electronics è un dispositivo che potremmo classificare come iperstrumento (secondo la definizione coniata da Tod Machiover proprio nel 1986 per il suo lavoro coevo) autocostruito, che coniuga in maniera innovativa mondo fisico e digitale.

>>> «Relentless Doppelgänger», è un canale che dal 4 settembre 2019 genera automaticamente in maniera continuativa musica death metal. Il generatore è un bot, una forma modificata della rete neurale “SampleRNN” addestrata sulla base di centinaia di registrazioni di death metal. Interessante in questo è che l’analisi musicale operata dalla rete neurale, applicata direttamente sulle forme d’onda e non su partiture, non è basata su una forma di conoscenza rappresentativa, ma su una modalità adattativa, e che le strategie che la rete ha usato per le analisi – e di conseguenza i percorsi generativi della musica – sono a noi incomprensibili e non corrispondono con le nostre comuni forme di conoscenza della musica; ciò non di meno sono efficaci.

(Giacomo Albert )

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