Giovanni Morelli, Non c'è niente di meglio di un bagno nel fiume quando si ha il mare aperto a pochi passi, china, 1967/68 ca.


Pensieri per Giovanni

Michele Chiappini | 14 luglio 2020


Ammesso che ciò che alla bene-meglio ho tentato di descrivere sia vero, o che perlomeno corrisponda a qualche “fatto”, si può passare a prendere in considerazione l’ipotesi che in una serie potente di riproduzioni etero-dirette ma caratterizzate, specialmente nel consumo, da fantasmatici consolidamenti, fittizi quanto si vuole, di forme momentanee di espressività, fondate sul numero di diversificazioni del dettaglio “identificante”, assume funzioni d’antitesi portante, originale, il gran valore attribuibile alle dinamiche dello scarto. Con scarto vorrei intendere anche quella pur minima sfasatura di attenzione espressiva rispecchiata nel maggiore/minore rispetto della disposizione dei dettagli, la quale, dove sufficientemente espressa, può rendere in grado il soggetto che si espone allo stesso scarto, ripeto, sia pur minimo, di immaginare/immaginarsi in sé una manifestazione vivente di stravagante originalità. Vista, magari, come tale dagli occhi di quegli altri soggetti che si credono massimamente autodiretti (altro modo più moderno di dire “liberi”), laddove precipuamente essi vivono in un collettivo strettissimo dove appunto lo scarto, evoluto o inibito, controllato o incrementato, genera simulacri di antitesi che possono essere accesi e spenti con gesti minimi di ravvedimento o di uscita di riga. […]

(Giovanni Morelli, Espressioni e costruzioni di antitesi in L’orizzonte filosofico del comporre / The Philosophical Horizon of Composition in the Twentieth Century , a cura di Gianmario Borio, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 325-363: 337-338)


Si dà qui il caso insolito e quasi anomalo di un Morelli musicus che, senza mostrare alcuna indulgenza o concessione verso il lettore, licenzia un testo di una tale concentrazione teorica e concettuale come raramente si è trovato in musicologia.
L’argomento è immane, da far tremare i polsi: l’estinzione ovvero l’estinzione presumibile dell’epoca dell’avanguardia, alla quale non resterebbe altro che andare incontro a un inesorabile «destino entropico» di decadimento.
Proprio in musica, in particolare nella seconda metà del Novecento, secondo Morelli osserviamo il progressivo livellamento o disinnesco della forza sovversiva, emancipativa, antagonista, anche utopica e distruttiva, dei due «modelli/patterns d’azione della creazione» – costruzione ed espressione – che più avevano alimentato la spinta propulsiva di tutta l’avanguardia; e a ben vedere, ancor prima, di tutti i movimenti del “progresso in musica”: romanticismo, wagnerismo, simbolismo. Vale a dire quel prodotto autentico d’una medesima koiné culturale occidentale, borghese e capitalista che ha sempre confidato nell’elemento del culto dell’originalità, dell’autorialità, e in tutti i «meccanismi propulsivi del moderno, ossia il nuovo in quanto superamento del vecchio, trasgressione della norma, straniamento»; e naturalmente nell’idea stessa di essere accordati al proprio tempo, appropriati al presente, up-to-date.
Sopraffatti pertanto dall’omologazione, dall’accademismo, dalla persistenza dell’industria culturale, dall’«esproprio dell’antitesi avvenuto sistematicamente da parte dei sistemi del potere», viene dunque da chiedersi: è ancora possibile una teoria della creazione al giorno d’oggi, o meglio una teoria della sopravvivenza della creazione?
La risposta, se sì, dice Morelli, è da ricercare in nuovi «simulacri di antitesi» all’omologazione, vale a dire in un nuovo «ordine di antiteticità dato», non più da gesti dirompenti e iconoclastici o voli pindarici, quanto dalla «gestione di piccoli scarti».
Si delineano così i contorni di un teoria o estetica dello scarto, o meglio di un’estetica dell’alterità difettiva, come vorrei chiamarla, propria di un nuovo carattere di tipo analogico dell’opera, dov’essa «diventa sempre più qualcosa di prossimo a rappresentare le pure tracce del suo processo piuttosto che la sua effettuazione», e del soggetto, confinato in nuovi e poliformi scenari della lontananza, dov’egli tuttavia sopravvive ed è sempre in grado di agire con mezzi e tecniche vieppù efficaci.

(Michele Chiappini)



Stringendo il campo intorno ai due «pattern d’azione», espressione e costruzione, colti in un possibile orizzonte estetico di alterità difettiva. e, come avrebbe potuto dire Morelli, «con lo scopo di sollecitare affettivamente ordini di connessione in multisenso nella esperienza musicale», mi sia concesso di suggerire come ascolto un prodotto audiovisivo: un breve frammento tratto dalla Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci, con musiche originali proprio di Scott Gibbons; un’opera prodotta della compagnia teatrale Sociètas Raffaello Sanzio, formata dal ciclo di undici episodi e della durata complessiva di oltre undici ore. Ognuno degli episodi prende il nome da una città dove lo spettacolo è andato in scena, tra il 2002 e il 2004 (C.#01 Cesena, A.#02 Avignon, B.#03 Berlin, Br.#04 Bruxelles, Bn.#05 Bergen, P.#06 Paris, R.#07 Roma, S.#08 Strasbourg, L.#09 London, M.#10 Marseille, C.#11 Cesena). L’esempio in questione trattasi dell’episodio II – A.#02 Avignon (2002), intitolato Alphabet


Ascolto proposto:

>>> Alphabet

(Da Michele Chiappini, Après ‘Espressioni e costruzioni di antitesi’: appunti per un’estetica dell’alterità difettiva nella musica del XX e XXI secolo, in Variazioni in sviluppo. I pensieri di Giovanni Morelli verso il futuro, a cura di Giada Viviani, Venezia Fondazione Giorgio Cini, 2017, pp. 170-202)


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